Intervista a Egreen per l’uscita di Nicolas

Abbiamo intervistato Egreen in occasione dell’uscita di Nicolas, ecco l’intervista. Leggi le sue risposte qui

Intervista Egreen

Ciao Nicholas! Come è andata questa settimana?
Un po’ tutto di corsa ma fa parte della macchina del disco, quindi bene. Anche a livello di feedback sta andando bene, i biglietti stanno andando bene.

Diverso da come andò Fine primo tempo?
Rispetto al disco precedente sta andando meglio, il disco ha fatto il corso che doveva fare, poi ovviamente la pandemia si è messa di mezzo, quello è stato un gran problema.

Ho letto una frase di Jay-Z che mi ha fatto pensare al tuo disco, ossia che ‘l’identità è un prigione da cui non si scappa mai. La redenzione dal passato non avviene fuggendone via, ma usandolo come fondamenta per crescere’ Questo mi fa pensare, in che modo la tua identità è cambiata, con questo disco?
A livello identificativo questo disco ha rappresentato un tornare sui miei passi con estrema onestà, personale ed intellettuale, con cognizione di causa; non dire “ah l’altra volta è andata male ma sono sempre quello dell’hip hop”. A me quando la gente con troppa fretta usa quella parola mi va in cortocircuito il cervello perché ha poco senso; credo che io utilizzi il linguaggio del rap come forma di espressone, parlo di disciplina artistica e non di questa narrazione da favola dei fratelli Grimm dell’hip hop, riguardo la quale sarebbe ora di smetterla di fare disinformazione. L’identità l’ho avuta sempre a cuore, al punto di fare degli statement in Fine primo tempo che in apparenza mi discostavano da questa cosa, ma ho sempre avuto la certezza di cosa faccio, di come la vedo, e forse ho sbagliato a credere che i giornalisti avessero la stessa chiave di lettura che ho io. Io non so quanti tra noi, della vecchia scuola, siamo ancora in giro.
Io faccio delle citazioni e spesso mi viene detto “ah hai citato Kaos” che non è pormi a un livello superiore ma fare pace – e oramai ci ho fatto pace- con quello che ho vissuto. Ormai si parla con un determinato linguaggio in maniera abbastanza critica a persone che hanno altre chiavi di lettura. Tutto quel discorso di voler sottolineare la mia identità è passato in secondo piano e l’ultimo disco è stato fatto per me stesso. Non sono cambiato, se mi metto a rappare su 90bpm tutti a notare come io ‘faccia hip hop’ ma rimane che io punto la luna e tu guardi il dito, parliamo una lingua diversa, con interlocutori diversi.

Manca un bagaglio culturale perché non c’è interesse e informazione fatta da chi potrebbe farla, esistono tante realtà poco illuminate, come per il freestyle…
Egreen: Non c’è dibattito. Il freestyle è come la breackdance, un sottogenere fatto di suoi schemi e anche lì dire “strada, non strada”… boh, è una roba messa in contenitori che hanno un’esposizione mediatica di un certo tipo, ma raramente ci sono dei freestyle di altissimo livello nella scrittura ma non perché il mondo è contro il freestyle ma semplicemente perché sono scelte. C’è sempre questo dibattito del “eh una volta”. No, c’è sempre stata questa cosa dell’ostentare, non è che te l’ha portata la DPG. Sono sempre stata roba “da demonizzare”, ma sull’altro piatto della bilancia non c’è nulla che fa convergere l’attenzione su di esso. Evidentemente non c’è ancora un qualcosa a creare quella forza di calamita verso “ah, quello è il problema”. Il problema è che non c’è dibattito, che non ci si mette a tavolino a parlare di quello che succede e come. Come mi sembra sterile la polemica sui media di settore che sono di parte, dopo che abbiamo fatto 20 anni con Emilio Fede su rete 4. Mi sembra sia un continuo puntare il dito contro tutti, quando il discorso è diverso.

Nella citazione di Jay si parla anche di passato, con Nicholas tu ci fai bei conti. Sia nei confronti tuoi che di chi ti ascolta. Credi che la tua scrittura cambierà ora?
No. Ho voglia di divertirmi, di fare del rap senza pretese. Un disco forte e importante come questo mette un punto e segna la fine. Non so quanta voglia ho di continuare a fare un percorso in cui appunto mi devo mettere sulle spalle dei pesi che non voglio più avere, se voglio fare altri 10 mixtape autocelebrativi promossi in sordina mi prendo la leggerezza di farlo senza dire “e ora cosa faccio”.

Intervistando Inoki, lui mi ha dato una impressione simile, di farsi meno problemi sul ‘cosa fare’ o ‘essere, ce l’ha fatta a fare il suo e ottenere ottimi risultati.
Io dico che con Medioego ha giocato la stessa carta che ho giocato io con Fine primo tempo in maniera spettacolare, secondo me a livello di costellazione anche giusta e gli è andata molto bene. Questo è un fenomeno curioso, bello da riconoscere. Ma ricordiamo sempre che Fabiano è uno che arriva con i suoi mostri, coi suoi problemi, con il fondo da cui veniamo tutti, anche Guè o Noyz.

Parliamo del disco. Come fai a dire “basta, ho scritto tutto ciò che volevo dire”?
Quando avevo 25 pezzi pronti e ne ho messi 15 nel disco.

E perché hai scartato quei pezzi?
Quelli che ho scartati l’ho fatto perché erano arroganti, da battaglia, hardcore

Hai detto che è stato importante lavorare con Seife, raccontaci il perché
Ci siamo conosciuti tra il 2012 e il 2013, ma le robe con lui le ho fatte poco dopo dall’uscita di Unlimited Struggle, un momento che per me ha rappresentato un cambiamento, realizzato dal singolo “Non cambio” che aveva sonorità diverse da quelle che avevo prima io. Lui ha una magia e un’eleganza tutta sua. Questo disco ha iniziato a farsi lo scheletro grazie a lui.

Per il resto hai riunito una squadra di fedeli:
Si, ho riunito delle persone con le quali sapevo che non avrei avuto problemi. Da Shocca, a Zonta, a Big Joe. Gente con cui c’era una corsia umana di dialogo. Il caso vuole che io sia legato a persone molto influenti sotto certi aspetti per cui pare che abbia riunito ma avevo solo bisogno di sentirmi a casa, e mi è servito.

Interessante la cosa di sentirmi a casa. Questa “famiglia” che ne pensa del disco? Come cambia l’ascolto del pubblico da quello di chi lavora con te?
Nel processo creativo i pezzi non vengono percepiti come li percepisce il pubblico quando il disco esce. Arriva un momento in cui siamo così saturi che dici “bello il pezzo ma non ce la faccio più”, in primis io. A bocce ferme arriva la constatazione che siamo tutti contenti. Non è scontato affatto che tutti siano felici del risultato (alludendo al fatto che in major agli addetti ai lavori interessa meno se la cosa piace a tutti o meno), a me spiace dirlo ma in 20 anni di musica ho constatato che ai nostri livelli è una condizione che viene dettata dal clima di serenità col quale si lavora. Per come facciamo noi le cose è quando è tutto chiaro, non ci sono persone in mezzo, quindi è stato tutto scorrevole.

È questa la formula di un buon disco?
Sì, è questa la formula.

In Fine primo tempo mi sono chiesto se stessi facendo qualcosa che non ti appartenesse.
Io credo che ci sia solo la conoscenza delle varie strutture e come lavorano. Mi sono trovato in una posizione in cui sono stato estremamente arrogante anche nei confronti del progetto stesso che ha una vita propria, con degli schemi propri, che devi rispettare, e devi capire che quando lavori con una multinazionale non si scappa, funziona così e fine. Io peccai di arroganza nel presumere di poter gestire tutto quel protocollo come ho sempre fatto. Io ero abituato ad altri modi. Ma tante cose, la musica stava cambiando, non era il disco giusto per una multinazionale, non ero pronto io.
Con Nicholas, questo disco, me la sono giocata, è talmente tanto personale, mai mi sarei aspettato che così tanta gente mi desse una seconda possibilità. Perché è una seconda possibilità. Questo per me è commovente e struggente
– Vedi, la gente capisce. Lo dicesti tu anni fa, ‘non contano i dischi che vendi, le tipe che tendi, ma solo le mazzate che prendi’. Ti dico la mia: La gente è stanca di queste ostentazioni, per loro importante entrare in contatto con gli artisti, anche e soprattutto quando prendono le mazzate, così la gente lega con l’arte, ed ha funzionato in egual modo per Marracash, a esempio.
Sai cosa? Non mi sono mai fermato da questo periodo allucinante in cui ho scritto il disco, questo periodo frenetico tra la scrittura e il tornare in Italia, non ho avuto modo di pensare a questa cosa, ma la trovo verissima.

Hai apprezzato che Gué abbia fatto Fastlife 4 tutto one take?

Io credo che Guè possa fare il cazzo che vuole e in maniera molto intelligente abbia giocato bene la carta, anche perché gioca in un campionato in cui la parola “one take” non sa manco che significhi, ma questo non significa che lui abbia tolto a noi o viceversa. Per me lui è il king, facesse e dicesse ciò che vuole, ma è ovvio che uno filtra le cose, sono contento se arriva questa pratica, ma tutti sappiamo che un Ensi o un Egreen hanno fatto anni registrando one take. Jake la furia ha usato per anni la tecnica degli insert, ma non è che per questo è meno forte degli altri. In Mi Fist ci sono degli aggiustamenti con gli insert che realizzano strofe pazzesche.

E se questo ‘hip hop’ sono dovesse ritornare ma evolvere? Penso a esempi come Griselda…
Quella roba, Griselda, funziona per una questione di immagine. Ci sono mercati anni avanti rispetto a noi. A me la roba Griselda ha rotto le palle da anni. È un iceberg gigantesco in cui tutti si sono andati a copiare a vicenda. A me anche a livello estetico ha sfracellato la minchia da tempo. Il sentore è lo stesso del ragionamento tuo, ossia “no, ma adesso torna” no, è una questione di bilanciamento delle forze. Loro si sono trovati nel posto giusto al momento giusto, management grossi, gestioni immense. Ciò che dico è: guardiamo con intelligenza ed occhio critico. Lì sono avanti di tot anni, lì di altrettanti, forse questo è il sentore che si accende e si avverte, anche se qui poi arriva tutto interpretato in maniera diversa.
Un mio amico è stato in grado mentre io e altri eravamo impegnati a crearci un progetto: Gioielli non aveva niente da perdere, se ne è sbattuto il cazzo, ha fatto ciò che hanno fatto loro, neanche nascondendo a chi si è ispirato, e dal niente ha costruito nel suo piccolo una macchina pazzesca. Io ho troppe cose nel mio background che mi fa venire la voglia di accostare il mio nome ad alcune realtà, e quando mi accosto a lui lo faccio perché quella roba ha un senso. Questi sono dei piccoli segnali. Bisogna rimettere sul tavolo il dibattito su che cos’è underground, cos’è un prodotto realizzato in maniera indipendente. Non è dire “vaffanculo a quelli che” ma riportare il mindset che “forse la strada migliore è seguire una strada difficile e non bussare a quella porta“.
Io ho a cuore che in Italia venga rimesso il dibattito dell’essere indipendenti e underground. Sembra che se sei underground è perché sei un coglione che non fa numeri, ma non è questo che significa. Egreen è underground da 20 anni e ho ottenuto tanto da questo percorso.