CLAVER GOLD E MURUBUTU: INFERNVM IL NOSTRO PECCATO

Claver Gold e Murubutu hanno creato un concept album con un’idea di 700 anni fa. La costante dell’album è l’asse poesia/musica, utilizzata per narrare la prima cantica descritta da Dante della sua catabasi, e prima tappa di un percorso che lo porterà fino alla visone di Dio.

A ogni personaggio la sua allegoria nel presente

L’album inizia giustamente con “Selva Oscura” dove, tra scratch e voci diaboliche, musica e poesia s’incontrano ancor prima di fondere rap e strumentale. Tra “Caronte” e “Minosse” Claver Gold e Murubutu descrivono cause e conseguenze della dannazione, che si fa realtà quando tra le numerose figure retoriche scorgiamo l’estrema realtà del racconto: il peccato che accumuna un po’ tutti noi (comuni mortali). In “Pier” il viaggio assume contorni strazianti. Ci si avvicina infatti ad una tematica delicata come il suicidio, in un parallelismo fra il peccato di Pier delle Vigne e quello di un giovane vittima di bullismo che sembra voler “cercare il coraggio per volare via”.




Modernità peccaminosa

Non manca l’attacco alla “nuova gen del rap” dove Claver Gold condanna i modaioli del rap, che idolatrano soldi e lusso, a rimanere all’inferno, uncinati e riportati nella pece bollente come contrappasso alla loro brama di potere. L’incontro dei due viandanti con Ulisse ci ricorda cosa significa il peccare di hybris. Nell’era moderna è la superbia nel momento in cui ci si scorda di riconoscere i limiti che governano l’essere umano. Senza dimenticare di rincorrere l’aporia, quella mancanza di risorse che ci porta ad una ricerca costante ed interminabile. Successivamente lo sguardo si sposta sulla donna che non è  più “bitch” o “la tua troia”. Infatti qua lo sguardo è interno, da dove viene descritta la vita di una donna che si è dimenticata di amare perché “gli uomini moderni sono figli del niente“. Il tutto ripercorso attraverso la figura di Taide, una prostituta dannata per essere stata in vita adulatrice con l’inganno.




La visione di Lucifero e la fine del viaggio

L’album cala i toni nonostante ci si avvii alla descrizione di Lucifero perché, a differenza della narrazione dantesca, qua Lucifero è tanto dannato quanto sofferente. È un angelo gettato da Dio e conficcato nel terreno per l’eternità per aver voltato le spalle al tempio celeste, un’immensa metafora che ci mette in allarme perché l’uomo cammina da sempre sul confine fra dannazione e redenzione.
L’espiazione termina con un’atmosfera simile a quella di “Antifernum“. Il Tenente e DJ Fastcut riprendono le atmosfere “infernali” di Claver Gold e Murubutu quasi aiutandoli a descrivere il terribile viaggio che li ha portati ad incontrare le anime dannate nelle quali si riflette il viso dell’uomo, l’uomo peccatore.

“Cime e spiriti, sibili simili a spiriti/ dal mondo dei vivi calato nel vivo del mondo degli Inferi”